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Da inclusione a segregazione: il fallimento dell'integrazione nella scuola svedese

Elisa Bastiani parla delle conseguenze sulla società svedese del tentativo di un’armonizzazione nelle scuole tra cultura d’origine e cultura acquisita.

Scuole nel mondo 
19 aprile di: Elisa Bastiani
copertina

Il giorno di Pasqua del 2022, la Svezia ha affrontato le conseguenze sociali del fallimento dell’integrazione. A seguito della provocazione da parte di un estremista di destra, diverse città sono state vandalizzate da giovani svedesi provenienti da famiglie africane o mediorientali.

È un fenomeno simile a quello accaduto nelle Banlieue francesi, e quindi non esclusivo della Svezia. L’opinione pubblica, tuttavia, ha accusato degli avvenimenti la scuola, responsabile dell’educazione e della non integrazione dei giovani. Ma in cosa consiste questa presunta responsabilità?

Cos'è l'introduktionprogram?

Quando gli immigrati italiani giunsero in Svezia negli anni '40, l’obiettivo primario era l’assimilazione nel sistema svedese. Le famiglie italiane, come del resto quelle di ogni altro gruppo linguistico, venivano fortemente incoraggiate a parlare solo svedese con i propri figli, sostenendo che il bilinguismo li avrebbe socialmente danneggiati.

A partire dagli anni ‘60 le ricerche in pedagogia e didattica hanno cominciato a mostrare l’importanza del bilinguismo nella formazione dell’identità. Sono stati così istituiti dei corsi di lingua madre, prima finlandese in quanto lingua minoritaria riconosciuta e molto diffusa in Svezia, poi di tutte le altre lingue presenti nel territorio. Finanziati dai comuni, questi corsi avevano l’obiettivo di sostenere l’identità dei bambini attraverso il potenziamento della lingua madre e l’arricchimento del vocabolario in entrambe le lingue.

Il primo intervento di integrazione, sempre gestito dai comuni, è l’“introduktionprogram”, ossia classi di introduzione per immigrati e rifugiati appena giunti in Svezia. L’“introduktionprogram” è una sorta di scuola nella scuola con un focus sulla lingua svedese che prevede educazione fisica, musica e laboratori manuali svolti insieme agli alunni madrelingua svedesi. Il programma dura da uno a tre mesi e si svolge di solito al di fuori dell’edificio scolastico principale per garantire più tranquillità e un ambiente più riservato.

Col miglioramento delle competenze linguistiche l’alunno viene gradualmente inserito nelle classi regolari fino a lasciare completamente il gruppo di introduzione. Gli alunni trasferiti nelle classi definitive hanno sempre e comunque accesso a uno “studiehandledning”, un insegnante della loro madrelingua che li supporta nello studio delle materie teoriche.

Come prosegue il percorso scolastico?

Dopo l’“introduktionprogram” si entra nel sistema SVA (Svenska för invandrare) di corsi di svedese per immigrati. Questi corsi, paralleli al curriculum scolastico tradizionale, sono organizzati dall’istituto scolastico di riferimento e fungono da valutazione alternativa per coloro che non parlano svedese come lingua madre. Gli alunni SVA condividono la stessa classe e gli stessi insegnanti dei madrelingua svedesi, svolgono gli stessi esercizi e prove, ma vengono valutati secondo standard adattati e semplificati.

Il sistema scolastico svedese ha come scopo la valorizzazione dell’individuo e della lingua madre, la cura della lingua adottiva, la promozione di una crescita armonica tra le culture e di un’integrazione basata sul rispetto reciproco tra individui e società. Ma allora, cosa c’entra la rivolta di Pasqua? E qual è il presunto legame tra scuola e segregazione sociale?

Che cosa non funziona

Un’indagine condotta dal Ministero dell’Istruzione ha evidenziato come gli alunni vengono “parcheggiati” troppo a lungo nell’“introduktionprogram” restando isolati dai coetanei: la segregazione inizia quindi proprio nel contesto che dovrebbe favorire l’integrazione. Inoltre, queste “scuole nelle scuole” non sono purtroppo regolate da linee guida ministeriali: gli insegnanti, spesso improvvisati, pur armati di buone intenzioni, hanno poche competenze pedagogico-didattiche e, a volte, poche competenze accademiche e creano dunque programmi secondo una visione personale dell’insegnamento della lingua svedese. In questi gruppi, inoltre, non sono rari gli scontri culturali e religiosi, e il bullismo è più diffuso rispetto alla scuola “regolare”.

Il sistema SVA, che dovrebbe aiutare e valutare l’alunno dopo il programma di inserimento, presenta anch’esso problematiche. Le linee guida su chi ha diritto a usufruire dello SVA non sono chiare e il 40% degli studenti che vi sono inseriti non sono propriamente immigrati ma bambini e ragazzi nati e cresciuti in Svezia. La bassa qualità dell’insegnamento dello svedese e delle aspettative degli insegnanti è la principale causa delle difficoltà che questi alunni incontrano in tutte le materie scolastiche. Inoltre, l’80% degli studenti non raggiunge neppure il numero di sufficienze necessarie per l’ammissione alla scuola superiore: i ginnasi richiedono infatti, come requisito di base, voti sufficienti in almeno quattro materie teoriche.

Per finire, come conferma l’Istituto di Statistica svedese, anche nei casi di ammissione al ginnasio, il numero di ragazzi nati fuori dalla Svezia che consegue il diploma di scuola superiore è inferiore rispetto al numero di coloro che sono nati in Svezia. L’Istituto osserva inoltre che questi ragazzi tendono da adulti ad avere una situazione economica peggiore rispetto ai loro coetanei nati in Svezia.

Le conseguenze sociali

In conclusione, il processo è il seguente: gli alunni neo-immigrati entrano nelle scuole svedesi e vengono isolati e mal istruiti durante l’“introduktionprogram”. Successivamente vengono inseriti nelle classi malgrado le loro competenze linguistiche basse; sono trascinati da una materia all’altra sotto lo sguardo svogliato di insegnanti che non richiedono molto e valutano con criteri inadatti. Al termine della scuola dell’obbligo, molti di loro non hanno i voti sufficienti necessari per accedere ai ginnasi e, anche se li ottengono, spesso non hanno comunque le competenze linguistiche per continuare gli studi. Ecco dunque perché l´opinione pubblica accusa le scuole delle rivolte di Pasqua.

Questo è un percorso frustrante che io, come insegnante ginnasiale, vivo ogni giorno attraverso i racconti dei miei studenti. Studenti che faticano poi a trovare lavoro perché privi una qualifica ginnasiale e finiscono spesso in situazioni di disoccupazione e isolamento sociale nei quartieri ghetto. Questo isolamento genera rabbia verso lo stato che, secondo questi ragazzi, li emargina portandoli alla povertà e alla segregazione.

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