Dire, fare, insegnare
Dire, fare, insegnare
Dire, fare, insegnare

Scegliere il proprio futuro conoscendo se stessi

Il futuro e la sua essenza: Gabriele Laffranchi intervista Annalisa Caputo e Giulia Selicato su come percepirsi e orientarsi nel tempo avvenire.

Metodologie 
14 febbraio di: Gabriele Laffranchi
copertina

Eccoci all’ultima puntata del nostro percorso su filosofia e competenze legato al percorso di orientamento “Il tempo vola, le competenze restano” promosso da Romanae Disputationes e Lavoropiù. Al centro della nostra riflessione, oggi, c’è la parola “futuro”. Il futuro è spesso oggetto di slogan, descritto con tratti inquietanti e foschi, oppure annunciato da radiosi messaggi come “i ragazzi sono il nostro futuro!” o “il futuro è vostro”, che però lasciano spazio a un indefinito senso di inquietudine.

Allora la domanda essenziale è: il futuro come interpella la nostra persona? Ovvero chiediamoci qual è lo spessore del tempo che si apre davanti a noi. Ci inoltriamo nella riflessione interrogando Annalisa Caputo, professoressa di filosofia teoretica presso l’Università “Aldo Moro” di Bari, e Giulia Selicato, di Lavoropiù.

Prof.ssa Caputo, il futuro sembra una destinazione non precisata, che incute timore o speranza, rispetto a un tempo lineare cominciato con il passato. È questa l’unica possibilità di vedere il tempo che scorre?

Il tempo lineare è la struttura classica con cui leggiamo il tempo, quello che Bergson ha definito come tempo spazializzato o omogeneo, in cui prevale la dimensione del calcolo ed è, quindi, spersonalizzato.

Ma insieme a questo tempo cronometrico c’è una temporalità propria, autentica e differente per ciascuno. Ognuno ha il suo tempo qualitativo, che è legato all’intensità e allo spessore del momento che viviamo. Il tempo allora diventa incalcolabile.

Quindi “che cos’è il tempo?” è una domanda sbagliata, perché immaginiamo il tempo come una cosa afferrabile e modificabile. Invece il tempo siamo noi, e la domanda che dobbiamo porci è: “come posso vivere in modo personale il mio tempo?”.

Spesso diciamo che “c’è tempo” per fare qualcosa o che “abbiamo tempo a disposizione” per svolgere un compito specifico. Ma propriamente che cos’è questo tempo a disposizione che più direttamente potremmo definire “futuro”?

Quando diciamo “c’è tempo”, stiamo parlando di un essere del tempo, di una sua essenza. Ma di cosa si tratta? Non possiamo rispondere a questa domanda se non partiamo dal presente. Il tempo autentico non parte dal passato, ma dal mio esserci nel presente. Vivendo il mio presente posso decidere del futuro a partire dal passato. In base alle scelte che faccio cambia il passato, il mio presente scorre diversamente e il mio futuro si modifica.

Il movimento del tempo autentico non è lineare, ma descrive una strana traiettoria: presente, passato, futuro. Ogni scelta è dentro a un progetto, cioè a un gettare in avanti le proprie potenzialità. Allora scopriamo il futuro come avvenire, ovvero è tutto ciò che viene a noi.

La vera domanda è “come voglio io, oggi, vivere e scegliere lo scorrere del mio tempo?” e, quindi con Heidegger ci chiediamo “chi è il tempo? O, più precisamente, siamo noi stessi il tempo? Sono io il mio tempo?”.

Giulia Selicato, il futuro è sempre stato una frontiera, un elemento associato al tema dell’innovazione. Cosa vuol dire vivere i cambiamenti in cui siamo immersi? Cosa chiede a noi stessi l’innovazione?

Una costante del mercato del lavoro attuale è sicuramente il cambiamento: un esempio è l’impatto che la trasformazione digitale sta avendo all’interno delle Organizzazioni, che sono chiamate a ripensare ciclicamente le proprie strategie, i processi interni e l’impiego di nuove tecnologie. La strada da cui veniamo è però lastricata di “ultime parole famose” di persone che non avevano impiegato grande lungimiranza nella valutazione dei mutamenti della realtà in cui erano immersi. Questo ci insegna che adattarsi al nuovo non è affar semplice: dobbiamo combattere la nostra istintiva resistenza al cambiamento che ci fa dire “si è sempre fatto così”, resistere alla naturale propensione umana a preferire ciò che si conosce, e che quindi si percepisce essere sicuro, rispetto a ciò che non si conosce e può spaventarci.

La competenza essenziale da allenare e mettere in campo nelle nostre valutazioni è, invece, l’apertura al cambiamento: per restare competitivi è importante saper accogliere il dubbio e stare nell’incertezza, sfruttando quanto appreso nel passato per muoversi con agilità in un mondo complesso e in perenne evoluzione. È un percorso che ci richiede di metterci in discussione, ma può aprirci numerosi scenari di opportunità.

Allora la sfida è orientarsi nel futuro, saperlo leggere e sapersi collocare in esso. Come farlo? Come fare una scelta consapevole dentro a una complessità che può spaventare?

Sicuramente per orientarsi in questo mare magnum di possibilità occorre munirsi di una buona bussola. Quando siamo davanti alla necessità di prendere una decisione per il nostro futuro, è importante chiedersi: cosa mi piace fare? Cosa so fare? Cosa cerca il mercato del lavoro in termini di capacità e competenze? Sono quindi l’autovalutazione e l’autoconsapevolezza a guidarci nella definizione dei nostri obiettivi: è essenziale effettuare un’attenta analisi delle proprie passioni, dei talenti e degli interessi che ci caratterizzano per individuare il giusto percorso da intraprendere per una crescita personale e professionale pienamente soddisfacente, che non risponda esclusivamente alle necessità contestuali di un mercato che continuerà a cambiare.

Il nostro consiglio è quello di approcciarsi al futuro con il giusto metodo: una volta individuato il nostro obiettivo è importante definire un piano di azione con i passi da intraprendere per il suo raggiungimento, mantenendo un approccio flessibile che sia teso al miglioramento continuo anche nei momenti di complessità.