Dire, fare, insegnare
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Orientarsi al futuro o allenarsi al futuro?

Manuel Caviglia, EQ Education e Community Manager di Six Seconds Italia, ci parla del ruolo delle emozioni e della conoscenza di sé nell'orientamento.

Esperienze di insegnamento 
02 aprile di: Manuel Caviglia
copertina

«Che cosa ti piacerebbe fare da grande?»

Da che età abbiamo iniziato a sentire questa domanda?

Fin da quando abbiamo fatto i nostri primi passi nel mondo dell’istruzione ci è stato posto questo delicato quesito e le risposte, fra quelle che ricordiamo di aver dato e quelle che ascoltiamo da bambini e bambine di oggi, sono tantissime.

Six Seconds Italia ha di recente concluso un progetto su questo tema e ha ottenuto, attraverso lo strumento delle interviste, molte informazioni sulle preferenze di bambine e bambini. Guardando i risultati potremmo comporre un elenco infinito di possibilità ma analizzando con attenzione i dati, ci sono diversi elementi che accomunano i sogni di bambini e bambine.

Da un lato si evidenzia l’elemento motivazionale di base che muove l’essere umano, ovvero la ricerca del piacere: che sia una sensazione o il gusto della scoperta siamo sempre orientati alla ricerca di ciò che ci suscita emozioni piacevoli. Dall’altro lato bisogna considerare anche la tendenza opposta; il dolore, la tristezza o il dispiacere, possono essere una forte leva motivazionale: fare delle scelte per evitare emozioni spiacevoli può indurre in una direzione piuttosto che un’altra.

In età adolescenziale le idee iniziano a essere più articolate ma allo stesso tempo compaiono elementi di maggiore incertezza, oltre che la tendenza a non fornire elementi concreti come i più piccoli. Si parla per esempio di valorizzare la parte creativa, orientarsi verso la medicina, fare l’interprete e così via. In questa età, inoltre, inizia a risultare rilevante la semplice ma indicativa risposta: «Non lo so». Sappiamo che l’adolescenza è un’età in cui avviene un significativo “sfoltimento” dei neuroni in modo da eliminare tutte quelle informazioni che il nostro cervello non ritiene utili, aumenta il bisogno di dopamina e di conseguenza la ricerca di emozioni forti e di novità. Il corpo cambia, si è in pieno sviluppo ormonale, subentra il tema della sessualità e ci si inizia a staccare dalla famiglia scoprendo una vita sociale all’infuori di essa.

Tutti questi cambiamenti biologici ci portano verso una fase di ricerca di stimoli e di scoperta che plasmerà gli adulti che diventeremo. Allo stesso tempo, nell’età adolescenziale, si sviluppano delle fibre nervose che facilitano un freno all’impulsività e lo sviluppo di un pensiero più critico. È come se il nostro cervello lavorasse per bilanciare un’integrazione orizzontale tra la parte logica e razionale e quella più emotiva, impulsiva, innovativa.

La biologia fa il suo lavoro ma fa anche i conti con l’ambiente, i condizionamenti culturali, l’educazione che riceviamo dalle nostre famiglie creando determinate condizioni di spinta o, talvolta, dei limiti.

A rendere il quadro più complesso è lo scenario odierno, dove tutto è fluido, dove non ci sono certezze: la domanda centrale da fare e da farsi non sembra poter più essere «Che cosa vuoi fare da grande?». Oggi ci sono molte più scelte sia come percorsi formativi sia come realtà lavorative ma il punto è che difficilmente si pensa a una carriera che possa essere definitiva. Tutto cambia e può essere messo in discussione. Qual è la domanda giusta allora?

«Che cosa vorresti fare da grande che non venga spazzato via dalle nuove tecnologie o da qualche pandemia improvvisa?». Ironizzando, ma neanche così tanto, sembrerebbe questa una domanda più in linea con i tempi. Oggi ci sono più scelte ed è ottimo ma proprio per questo l’orientamento diventa qualcosa di estremamente complesso e purtroppo nel cammino verso il loro futuro gli adolescenti non ricevono molti strumenti per capire che cosa vogliono costruire nella loro vita.

Proprio perché i mezzi sono molti e i punti di arrivo non così stabili probabilmente la vera chiave dell’orientamento potrebbe partire da un gradino più elevato del semplice «fare». Per esempio possiamo chiedere:

«Chi vorresti essere da grande?»

«Quali qualità ti saranno utili?»

«Che tipo di professione si adatterebbe a queste qualità?»

«Qual è un percorso di studi adatto per questa professione?»

Per aiutare ragazzi e ragazze a esplorare le proprie possibilità diventa oggi più importante che mai fornire loro strumenti per conoscersi, ascoltarsi, riconoscere le emozioni che provano rispetto alle varie scelte. È essenziale vedere le emozioni come sagge alleate e consigliere.

Conoscersi, capire le proprie attitudini richiede degli spazi e alle volte è necessario sperimentare, fare errori, mettersi in discussione. Serve una solidità emotiva di cui si sente la mancanza nei percorsi formativi: l’orientamento e l’allenamento alle soft skills come veicolo di maggiore comprensione di sé stessi saranno sicuramente sempre più importanti e strategici per il nostro futuro e fortunatamente l’attenzione sul tema sta aumentando, creando uno spazio sempre più significativo anche all’interno delle scuole.

Per essere dei formatori efficaci nella società contemporanea bisogna porsi domande più sofisticate e cercare di avere menti più aperte per trovare nuove risposte. Se viene veicolato nell’istruzione un viaggio evolutivo di questo tipo potrà renderci tutti più coscienti e uniti verso una visione sistemica. In questo percorso l’io diventa noi e insieme potremo chiederci: «Chi vogliamo essere da grandi?».