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Scienze motorie e differential learning: imparare, crescere e divertirsi

Le ore di scienze motorie possono essere un momento di benessere e di crescita per gli studenti. Il docente Salvatore Principato ci spiega come stimolare e valorizzare i ragazzi attraverso lo sport.

Metodologie  Inclusione  Primaria  Secondaria 
14 dicembre 2023 di: Salvatore Principato
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Alimentare il divertimento per favorire l’apprendimento”. È questo il principio di riferimento da cui prendono vita le lezioni di scienze motorie. Studenti in “cattedra”, tutti protagonisti, tutti “attivi”, ciascuno con le proprie abilità, ciascuno con il proprio vissuto motorio, motivati dalle novità, conquistati dalle attenzioni loro dedicate e dalla fiducia percepita.

Gli sport di squadra, che pratichiamo e alleniamo nel corso delle lezioni di scienze motorie, permettono di scoprire, attraverso un approccio metodologico orientato all'apprendimento differenziale (non più la ripetizione del movimento, ma la sua continua variazione), le abilità tecniche individuali dei propri studenti, di alimentare, all’insegna della complessità, le loro interazioni sportive e socio-affettive e di favorire l'auto-organizzazione per incentivare fiducia in sé stessi, autostima, libertà d’azione, crescita personale e apprendimento.

Si impara negli anni a osservare i propri studenti, e gli adolescenti in generale, senza mai giudicarli. Il loro è certamente un percorso di crescita non facile, “tortuoso”, ma sanno comunque bene quello che “non gradiscono” e, soprattutto, quello che “vogliono”.

Vivono una corporeità in continua evoluzione che, in alcuni casi, fanno fatica ad accettare; “subiscono” l’idea di sentirsi continuamente giudicati, avvertendo scarsa empatia attorno a loro; si interrogano spesso sulle loro capacità specifiche e generali, dubitando a volte della genuinità del loro vissuto esperienziale, percependosi ancora più fragili di quanto già non siano.

Bisogna quindi imparare a fidarsi di loro, stimolandoli all’azione, creandogli ambienti di apprendimento interessanti, all’interno dei quali tutti possano impegnarsi a dare il meglio di sé, per far sì che le abilità tecniche e le interazioni socio-affettive di ciascuno si amalgamino per raggiungere un obiettivo comune.

Il migliore strumento educativo: il gioco

Date queste premesse, quale miglior strumento da mettere in campo per catturare la loro attenzione se non il gioco, “maestro silenzioso”, sprovvisto di matita rossa, che educa senza rimproverare, che mette tutti in connessione, facilitando il team building e il problem solving, alimentando l’autostima e lo sviluppo della personalità.

Il gioco diventa il nostro strumento di insegnamento, e ci vengono in soccorso gli sport di squadra (basket, tchoukball, ultimate, pallavolo), l’allenamento differenziale e la fisica attraverso la teoria dei sistemi complessi.

Le continue rotazioni dei gruppi di lavoro all’interno della classe, i cui obiettivi tecnici e tattici vengono perseguiti in modalità situazionale, potrebbero essere percepiti da un occhio non allenato come caotici, ma al docente di scienze motorie possono apparire estremamente funzionali. Infatti alimentano il “ripetere senza ripetere”, ovvero la capacità di saper mettere in atto il processo di soluzione di un problema tecnico-tattico-motorio senza ripetere continuamente la stessa soluzione, ma arrivando comunque a raggiungere l'obiettivo attraverso l’esplorazione, la sperimentazione e la scoperta (L. Bernestein).

Il ruolo del docente

Naturalmente, il compito del docente sarà quello di saper allestire per i ragazzi, dei “contenitori didattici” su misura, all’interno dei quali ciascun gruppo in generale, e ciascuno studente in particolare, riesca a esprimersi al meglio, relazionandosi con i propri compagni, creando delle continue e nuove connessioni e portando a termine, in maniera gratificante, il compito assegnato in collaborazione con la propria squadra.

La posizione privilegiata di attento osservatore permette, di volta in volta, di poter registrare obiettivamente quelli che in seno ai sistemi complessi si definiscono “comportamenti emergenti”, riscontrabili all’interno di ciascun gruppo nel corso delle singole fasi di gioco e di esercitazione proposte.

Ciò rappresenta una risorsa preziosa, dal momento che mette nelle condizioni, constatato il livello di partenza del gruppo e la sua evoluzione, di poter variare la “struttura” della proposta successiva, in funzione di nuove richieste, nuovi stimoli e nuovi obiettivi tecnici, tattici e motori da perseguire.

A tal proposito è illuminante quanto scrive Daniela Lucangeli nel suo ultimo libro Se sbagli non fa niente, nel momento in cui propone “il principio di sfida ottimale”. Sviluppato dalla studiosa americana Susan Hartler, esso afferma che una sfida è ottimale per il bambino/ragazzo quando l’attività richiesta è difficile quel tanto che basta a fargli osare il passo successivo sulla via per aumentare il suo livello di competenza.

Evitare noia e frustrazione attraverso il dinamismo

Allo stesso tempo però, per potere essere considerata ottimale, l’attività richiesta dev’essere alla portata del bambino/ragazzo, per evitare il rischio di generare noia o frustrazione, che gli adolescenti sperimentano quando sono chiamati ad assolvere compiti poco gratificanti che ne rallentano la spinta motivazionale.

È anche per questo motivo che, per mantenere sempre desta l’attenzione in seno alla classe, e per favorire la crescita personale, è opportuno modificare parte della composizione delle squadre, che, divenendo così dei “nuovi sistemi complessi”, genereranno, attraverso una nuova rete di connessioni e di interazioni, delle azioni produttive e funzionali alle nuove richieste tecniche.

Inoltre, sostituendo l'elemento che, fino a quel momento del gioco, ha svolto il ruolo di “hub”, la squadra si trova a doversi auto-organizzare e adattare in funzione dell’individuazione pratica, ed al tempo stesso dinamica, di una nuova figura, capace di stimolare, con il proprio carisma tecnico/comportamentale e la propria forza propulsiva, ogni componente del gruppo verso il raggiungimento del nuovo obiettivo del gioco.

A tal proposito, gli studi nell’ambito delle neuroscienze, condotte da Rizzolati e collaboratori, ci confermano che l’apprendimento passa anche attraverso l’osservazione delle abilità tecniche di un compagno più bravo che, inserito nel gruppo/squadra, diventa esempio, riferimento e stimolo produttivo.

Ma il sistema complesso, che si sviluppa all’insegna dell’imprevedibilità, è un “sistema aperto”, che si alimenta e si auto-organizza anche in funzione delle informazioni che percepisce dall’ambiente esterno, evolvendosi e non rimanendo mai uguale a sé stesso. Perciò, per favorire la sua continua evoluzione e il suo produttivo adattamento al contesto, basta apportare delle micro variazioni, come ad esempio: cambiare location della lezione (campo esterno invece della palestra), scandire il tempo che passa invece di impostare semplicemente il timer che suona allo scadere del tempo, usare uno spazio di gioco più grande o più piccolo, per far sì che tutti gli attori, componenti del sistema complesso, si predispongano a collaborare, adattandosi alle nuove richieste e lasciando registrare nuovi progressi di natura tecnica e di natura affettivo-relazionale.

Costruire una "nuova autostima"

L’applicazione di questo stile didattico-metodologico, orientato ad accettare il contributo di ciascuno studente, e soprattutto, a valorizzarlo, stimola molti ragazzi e ragazze a uscire dalla comfort zone – in particolare i più timidi e riluttanti – e li aiuta a mettersi in gioco, a maturare gradualmente nuove esperienze, senza temere il giudizio degli altri, a percepirsi progressivamente più performanti, più capaci e più sicuri, forti delle nuove competenze acquisite, delle nuove certezze costruite sul campo e, soprattutto, corroborati da una “nuova autostima”.