Dire, fare, insegnare
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Dire, fare, insegnare

Insegnare è un'arte o un mestiere?

Fare dell'educazione un'arte e una missione è possibile, anzi: indispensabile. In questo articolo, l'insegnante Federica Brugnoli propone una riflessione sul tema.

Grandi insegnanti 
18 ottobre 2023 di: Federica Brugnoli
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L'insegnante deve assumere il ruolo del buon seminatore. Tante sono le parole pronunciate nel tentativo di diffondere cultura, ma spesso gli sguardi degli studenti varcano il confine dell'aula e seguono chissà quale via.

Insistere però è un dovere, e chi sta in cattedra deve essere consapevole dell'enorme responsabilità sottesa al suo ruolo. Ogni giorno i gesti e, soprattutto, l'esempio possono ridurre le distanze tra maestro e allievo.

Non tutti i semi porteranno frutto, ma quando accadrà i risultati saranno eccellenti. Il docente deve costantemente arricchire la visione dinamica dell'alunno, senza correre il rischio, a volte frequente, di incasellare gli atteggiamenti nelle varie teorie scientifiche.

Bisogna ricordare, infatti, che nell'educazione concreta non ci sono delle regole standardizzate, fisse e, soprattutto, non devono essercene. Secondo Adler, il compito dell'insegnante è quello di ricordare sempre che nella vita e nell'educazione la cosa più importante è l'uso e non il possesso di facoltà e attitudini.

Egli, inoltre, afferma: "Quindi noi dobbiamo dare ai bambini il materiale che li metterà in grado di avere il sopravvento, e dobbiamo dare loro il coraggio: questo è il fattore più importante dell'educazione. La cosa più pericolosa è che un bambino perda la speranza; ci saranno molte situazioni difficili nella sua vita, ma egli non dovrà mai perdere la speranza". [1]

I ragazzi arrivano in classe ovviamente "diversi", non soltanto come risultato della struttura psicologica e biologica del loro organismo, ma anche in seguito all'incidenza esercitata dall'ambiente familiare e sociale di appartenenza sulla personalità di ciascuno.

Il ruolo della scuola è fondamentale. È chiaro che l’intenzionalità formativa è sostanzialmente condizionamento, ma è importante che si condizioni per decondizionare; la finalità, infatti, è quella di aiutare il discente ad adattarsi, in modo consapevole, alle varie situazioni e di creare le condizioni per un apprendimento che faccia maturare nell'educando la capacità produttiva e creativa del pensiero.

Insegnare a pensare

Lo studente sarà quindi posto al centro dell'azione didattica con lo scopo di stimolare in lui il pieno impiego dell'intelligenza generale, della curiosità e dell'attitudine indagatrice per guidarlo alla formazione dello spirito critico.

Mai come in questo momento, in cui la tecnologia sembra avere preso il sopravvento sull'uomo, il docente ha il ruolo di aiutare a pensare con la propria testa, senza limitare o restringere le azioni a un copia e incolla di riflessioni altrui che spersonalizzano l'individuo come essere ragionante.

Cogito, ergo sum

affermava Cartesio, esprimendo così la certezza indubitabile che l'essere umano ha di sé stesso proprio in quanto soggetto pensante.

Insegnare a pensare assume un significato particolare, perché chi opera in tal senso può considerarsi un regista del processo di costruzione dell'apprendimento e di formazione delle competenze, oppure uno stratega dell’attività educativa in classe che ha effetti lungo tutta la vita dell'allievo.

Il ruolo dell'educatore

Ed è proprio questo il punto. L'uomo che osserva dall' esterno può anche permettersi di prevedere, credere, giudicare tutto ciò che vuole guardando gli studenti di qualunque età mentre corrono, cantano a squarciagola o semplicemente, "urlando", parlano.

In classe, però, deve essere consapevole che, se è lui a farle, quelle stesse supposizioni rischiano di autorealizzarsi. Questo perché sempre lui, il docente, l'educatore, non è un passante casuale. Il suo ruolo in classe, infatti, potrebbe e dovrebbe essere quello di Pigmalione, un punto di riferimento tra e per i suoi allievi.

A questi ultimi è necessaria una guida stimolante che li accompagni nel processo di crescita attraverso tappe evolutive delicate e particolari, e che li inciti come un nuovo Ulisse [2]:

Considerate la vostra semenza:/ fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza.

La funzione dell'insegnamento, infatti, non è solo quella di produrre apprendimento, ma condizioni di apprendimento. Ecco che cambia anche il ruolo dell'educatore:

"La funzione docente realizza il processo di apprendimento/insegnamento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell'istruzione".[3]

L'insegnante, quindi, diviene non solo un esperto di una particolare area disciplinare, ma il mediatore di un sapere che prende vita nel rapporto con la realtà, una risorsa per imparare a risolvere problemi al fine di raggiungere target che devono essere necessariamente realistici.

Inoltre, fondamentale importanza assume il fattore "scoperta". Bruner affermava la necessità di aiutare lo studente, incoraggiandolo a cercare e a scoprire rapporti e regolarità nell'ambiente che ruota intorno a lui.

Questo accadrà quando il ragazzo, o la ragazza, maturerà la consapevolezza che vi è davvero qualcosa di nuovo da individuare e, a quel punto, metterà in atto le strategie necessarie per effettuare quella scoperta. Anzi, farà un passo avanti, non riconoscerà solamente dei rapporti, ma eviterà la deriva verso informazioni errate, slegate dal contesto, quindi inutili.

Se la scoperta implica l'aver individuato il significato più profondo – la struttura adatta che definisce una situazione attraverso un percorso autonomo – allora l’allievo ricaverà notevoli vantaggi sotto forma di maggiore ricompensa psicologia e potenzialità intellettuale, di affinamento dei processi mnemonici, di migliore tecnica di indagine.

Sarebbe opportuno che il lavoro in classe ruotasse intorno a due parole chiave per una didattica davvero inclusiva: personalizzazione e individualizzazione.

La prima riguarda l'insieme di scelte didattiche volte a valorizzare la specificità di ogni individuo nella molteplicità delle sue dimensioni personali, tra cui le abilità e gli interessi particolari.

La seconda si riferisce alle proposte di percorsi di apprendimento diversificati per assicurare a ciascuno il raggiungimento delle competenze fondamentali del curricolo, quindi il processo di apprendimento e di maturazione.

L'insegnamento come missione

Il docente può essere davvero un "pescatore" di talenti se riesce a trasmettere l'amore, il desiderio di approfondire quanto appreso, di cogliere nella parola suoni e significati, forza comunicativa che unisce o divide per sempre, di educare alla bellezza in senso onnicomprensivo per far capire la novità e la vivacità delle informazioni; tutto questo costituisce un input che l'occhio attento e osservatore dei ragazzi può recepire ed elaborare. Il motto della scuola di don Milani è "I care", "Mi prendo cura". Garantire a tutti, a prescindere dalle contingenze e capacità, la possibilità di crescere, di formarsi, di trovare il proprio posto nel mondo.

Ciascuno ha il suo talento, come un germoglio da custodire e nutrire nel tempo affinché sbocci, acquisti coraggio e voglia di sperimentare. Insegnare diventa perciò una missione da compiersi come servizio donato alle nuove generazioni, una sorta di passaggio di testimone in quel gioco straordinario che è la vita proiettata nel futuro.

Entrare nel mondo dell'alunno con empatia consentirà di muoversi attraverso passaggi semplici, ma fondamentali. Imparare a conoscere i segnali indicatori di un disagio, piccolo o grave che sia, per andare incontro, disponibili, a un dialogo costruttivo e accogliente.

Indagare il perché degli occhi abbassati per timidezza o pudore e intuire le parole bloccate in gola per paura di sbagliare. Guardare il volto e notare le sfumature di colore; accorgersi del nervosismo o dell'ansia. Capire il significato dei pugni chiusi, del gioco delle dita che arricciano i capelli, delle penne toccate e strette fra le dita, della voce tremante, degli occhi talvolta lucidi. Intuire nel passo rallentato in corridoio la richiesta di aiuto ed essere pronti a soddisfarla.

Ecco che si presenta l'occasione per capire eventuali problematiche ignorate o trascurate e, nello stesso tempo, per accogliere una dimostrazione di stima e fiducia da parte dello studente verso l'insegnante.

Ancora, dare valore ai momenti di confronto nel gruppo, il debate, cercando il modo di coinvolgere i più timidi, quelli che non si proporranno mai perché significherebbe mettere a nudo il proprio io. Ebbene, tutto questo non viene spiegato nei libri. È la passione a spingere a mettersi al servizio degli altri per formare menti libere che possano sognare, e a offrire le ali per volare nel cielo infinito del sapere.

Solo se gli educatori non dimenticheranno di essere stati studenti potranno entrare, ma sempre in punta di piedi, nel mondo di questi ultimi sfondando la porta del dubbio e dello scetticismo. Da questo si ricaverà energia per rendere le conoscenze accessibili ai ragazzi. Non sempre, infatti conoscere contenuti significa saperli trasmettere.

Inoltre, guardando negli occhi i giovani interlocutori si possono unire generazioni diverse che lavorano insieme per un intento comune: tessere un filo che unisca comprensione, fiducia, voglia di crescere, dal punto di vista umano e professionale.

Una sorta di scambio di doni in cui il docente non è visto come antagonista, ma aiutante, disposto a offrire la sua esperienza mentre riceve stimoli nuovi da menti fresche. Insegnare sarà così un'arte e non un semplice mestiere da portare avanti, magari svogliatamente.

Riferimenti bibliografici

  1. Giuseppe Vico, Lo svantaggiato: quale educazione?, Vita e Pensiero, Pubblicazioni della Università cattolica, Milano 1983.
  2. Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, versi 118-120.
  3. Articolo 26-Funzione docente.